Ricordo di Mario Prosperi di Federico Doglio 21 Nov 2014

RICORDO DI MARIO PROSPERI di Federico DOGLIO

Così, improvvisamente, Mario ci ha lasciati. Una settimana fa ad una mia telefonata rispose che, dopo i lunghi mesi trascorsi in Ospedale e il dolore sofferto, ora era ritornato a casa, si sentiva meglio e mi avrebbe visto volentieri appena si fosse ristabilito del tutto. Ed ora invece siamo qui a pregare per un uomo, un artista, che con molti di noi ha condiviso interessi culturali e idealità. Accenno soltanto ai ricordi personali.

Ho incontrato Mario alla RAI, nel ‘68, quando, curando gli spettacoli televisivi, seguivo la regia de l’”Odissea” di Franco Rossi. Conoscevo bene suo padre, il grande critico e autore drammatico Giorgio, che da anni, collaborava ai programmi radio e tv, e mi resi conto che questo ventottenne figlio d’arte, cresciuto in una casa frequentata dai protagonisti dello spettacolo contemporaneo, laureato in lettere classiche, era degno d’attenzione. In quello stesso anno, infatti, con il “Savonarola”, rappresentato dallo Stabile di Torino a Venezia, Mario si rivelava un autore drammatico sensibile alla problematica religiosa.

La rividi ancora in RAI in occasione delle produzioni dell’”Eneida” e poi dei “Persiani”, che confermavano il suo costante impegno per la classicità che avrebbe caratterizzato gran parte della sua attività artistica.

Gli anni successivi lo seguì alla lontana, come critico, lo vidi attivo in diversi gruppi e laboratori, sempre con una sua originale individualità, poi alla nascita del Politecnico, nel ‘74, quando con Amedeo Fago restaurò quel magazzino fatiscente e lo trasformò, con notevoli sacrifici finanziari, in un confortevole teatrino, che inaugurò con quel testo “Fanon” che manifestava la sua attenzione ai problemi sociali ed etnici di altre culture.

Nel ’78 lo si vide per la prima volta in scena come attore; iniziava allora, con l’interpretazione della sua “Ermione”, una nuova attività che avrebbe praticato in seguito con notevoli successi. Il ‘78 segnò anche l’inizio della nostra amicizia.

Stavo preparando un volume che raccogliesse i testi dei giovani autori drammatici italiani sensibili al rinnovamento spirituale promosso dal Concilio Vaticano II e, fra i nuovi autori, incontrai Mario, cui feci una lunga e confidenziale intervista, che venne poi pubblicata insieme al “Savonarola” nel volume “Il Teatro Post-conciliare in Italia”. Compresi allora che questo intellettuale dai molteplici interessi culturali, cercava di individuare quella che avrebbe dovuto essere la sua vera cifra espressiva. Sperimentò infatti, negli anni successivi, con diversi esiti, differenti tematiche in testi caratterizzati da eventi e personaggi disegnati con toni ora satirici, ora parodistici, ora provocatori. Altri ne illustreranno il rilievo.

Trascorsero alcuni anni, al percorso intrapreso dal Centro Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale, sorto per valorizzare il repertorio dimenticato dei primi secoli della nostra letteratura, Mario era stato presente come spettatore incuriosito, mentre suo padre Giorgio, generosamente ne valorizzava le iniziative. Nel ‘95, poiché la Fondazione della Banca di Piacenza e Vigevano aveva organizzato un Convegno su “Il Concilio di Piacenza e le Crociate” proposi a Mario di tradurre dal francese antico “le Jeu de Saint Nicolas” di Jean Bodel e di allestirlo dopo secoli d’oblio. Egli accettò con entusiasmo, tradusse il testo componendo un dialogo vivace e spiritoso e realizzò uno spettacolo suggestivo, che riscosse grande successo.

Cinque anni dopo, in occasione dell’Anno Santo 2000, la stessa Fondazione sovvenzionò la realizzazione di un Concorso Internazionale di Drammaturgia Religiosa, patrocinato dalla Santa Sede. Vi parteciparono autori d’ogni parte del mondo. Vinse una monaca svedese, già luterana ora benedettina in Sud Africa, con un testo “Le Spine delle rose”, Mario con “La città di Dio”, tratto da Sant’Agostino, fu fra i nove segnalati. Egli rappresentò con buon esito, a Piacenza e a Roma, sia il dramma avvincente sia il proprio.

Nello stesso anno, ad Anagni, nel corso di un Festival, rappresentò “Lo schiaffo d’Anagni” che, sulla base di documenti storici, rievocava suggestivamente la nota vicenda di Bonifacio VIII. L’anno successivo, gli proposi una grande scommessa, l’allestimento de “La Cortigiana” dell’Aretino, nell’ambito del nostro venticinquesimo convegno “Satira e beffa nelle commedie europee del Rinascimento”. Ne fece un allestimento memorabile nel cortile dell’Istituto di Studi sul Rinascimento all’Aventino e affascinò il numeroso pubblico con una straordinaria interpretazione del grande Prologo dell’opera.

Un’altra occasione di cimentarsi in un testo difficile gli fu offerta nel 2006 con l’allestimento di una tragedia barocca “L’Ippanda” dell’Alberi, ed egli superò la prova con la consueta sensibilità.

Nel 2008, come è noto, fu costretto ad abbandonare il Politecnico. Il teatro dove aveva allestito innumerevoli spettacoli significativi, suoi e di altri numerosi gruppi teatrali, quel teatro che aveva provveduto a rinnovare per renderlo ufficialmente agibile, impegnando persino i beni di famiglia, e che ora un’assurda cecità del Ministero e del Comune, negandogli i necessari e legittimi contributi, lo costringeva ad abbandonare.

Insorse parte della stampa, tutti scrivemmo qualcosa in suo favore sperando di superare le difficoltà. Inutilmente.

Penso che bisognerebbe ricordare degnamente lo strenuo impegno di Mario in favore del teatro, intitolandogli uno dei tanti premi che vengono tuttora assegnati in varie regioni d’Italia. Chi ha la possibilità di realizzare questa proposta lo faccia. Ma per me, gli ultimi nostri anni in Comune sono i più significativi.

Quella cifra espressiva che ancora ricercata, come dichiarava nell’intervista dell’ontano ‘78, si era avvenuta col tempo, interiormente, chiarendosi. I suoi molteplici interessi culturali, persino lo studio della lingua e della cultura araba, avevano progressivamente lasciato campo ad un recupero dei valori etici, di una meditata spiritualità.

Lo dimostrano i suoi scritti recenti.

Si pensi al pluriennale lavoro di riflessione e di documentazione sui personaggi significativi della storia antica e recente, di diverse culture e civiltà che animo la composizione di quel grande volume “Alle Sorgenti”, dedicato a Don Piero Riches “prole di re Davide, prete di Gesù Cristo, pescatore di anime tra cui la mia”. Una raccolta di testimonianze delle diverse forme di spiritualità che hanno ispirato le vite di tanti uomini illustri, attratti dal Cristo.

Un’ultima testimonianza o ricevuta personalmente, questa primavera; una mattina in cui, dopo aver assistito con me alla Messa nella Chiesa di Santa Chiara, mi consegnò un testo appena composto: “Il Cantico di Soldano”, un breve, pittoresco dal punto di vista plurilinguistica, suggestivo per i suoi inserti lirici, componimento drammatico sul celebre, leggendario incontro fra San Francesco e il Soldano. Affronta, con un linguaggio insieme poetico e allusivo, il grave tema, ritornato ora in drammatica attualità, della possibile convivenza pacifica fra diverse religioni.

Fu l’ultimo dono fatto a me e a tutti dal carissimo Mario.

Federico Doglio

Commemorazione letta, il 21 Novembre 2014, nella Chiesa di Santa Maria in Monte Santo, durante la Messa degli Artisti.

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